Capitolo A (anteprima)
A dargli tutto quel tempo che gli occorre, Skeeen è davvero capace di provare e d’impartire l’estasi esattamente lungo tutto quanto il locale… Skeeen non può proprio celarlo nemmeno a se stesso: a mala pena domina l’ansia che in quest’attimo l’assale, allorché, sospinto dal suo stesso interesse si risolve a trascrivere soltanto mentalmente – ma accuratamente, ma molto al di sopra di enigmatiche parole, come fosse una cosa attigua a carceri questo pensamento, come fosse suo remoto parente questo strazio straziante che strazia ma come costretto fosse a conviverci, come fosse un orizzonte velato e oscuro, come fosse un piano secolare, come fosse un mandamento ma orrendamente divino -, la copia affrettata, come fosse, di tutti quanti gli avvenimenti passati e anche futuri della sua vita… e via, e via, e via… ma proprio alcuni di questi avvenimenti, già da molto prima d’incominciare, hanno animo – muto forse, silenziosissimo ma simile a tifone grandissimo – adulto e fanciullo insieme: terra e melma e paura brulla e quasi mancamento e ancora lontananza da primissimo desiderio sono questi avvenimenti. niente d’altro da aggiungere, niente d’altro da dire:
A dargli tempo, quindi, Skeeen è proprio capace d’inebriarsi, d’ubriacarsi nel cuore stesso dell’inferno abissale de El Horno: “il nome del posto è di per sé già strano, è come meraviglioso presagio, non tanto allettante ma come non cedere alla tentazione”, dice nella sua mente Skeeen, “al disarmo totale che prevede un luogo come questo: le luci appena visibili colpiscono in tutta la loro vera crudeltà: una poesia del trasalimento” e via, e via, e via, e così Skeeen entra e nel frattempo dice: “un buco è un buco e non ci si tira mica indietro nei fine settimana di questa città… e via, e via, e via, ecco, e anche questa merda di locale, poi, mica tanto è lontano dalle luride saune che frequento: è soltanto un ennesimo buco, un altro locale da frequentare, un altro nuovo fine settimana da passare all’infinito anche se, proprio per il suo senso immanente di ogni atto che all’interno si compie, non può avere mai fine” condividendo così, quasi per intero – con le estreme forze che gli rimangono – una specialissima amicanza fratella, uno spasimo fecale e sessuale con tutte le altre sventure smaniose che allegramente popolano questo antro disarmonico, questa inquieta rottura con tutto il mondo esterno, questo locale acerrimo.
A dire il vero, nello stato di ebbrezza da Ceres assai avanzata nel quale Skeeen si trova, ad entrare a El Horno prova solamente un disagio più che passeggero e già quasi arriva a sorprendersi e arriva a confidarsi mentalmente cose che non gli sarebbe mai venute in testa, normalmente, di rivelare nemmeno al suo più intimo e letale amico, a maggior ragione a una persona che in un certo senso non conosce affatto, anche se, provando per questa un desiderio vivissimo e cercando quindi di corteggiarla già appena entrato, si mette largamente, in mancanza di altri argomenti, a parlare di sé… e via, e via, e via, e quello ad ascoltarlo distratto e silenzioso e quello a raccogliere tutti i suoi storpi discorsi che inaridiscono, come una condanna, il corpo e il pensiero e i rapporti con il prossimo.
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